Home Acciaierie d'Italia Zero risposte: i numeri dell’acquisizione dell’ex ILVA

Zero risposte: i numeri dell’acquisizione dell’ex ILVA

by Fiom Taranto

Stamattina alle portinerie del siderurgico, con i volantini della Fiom che fanno il punto della situazione sull’ex Ilva, in vista del 30 maggio prossimo, data in cui ci sarà la scadenza delle tre clausole sospensive: accordo sindacale, piano ambientale per il rilascio della nuova Aia e dissequestro penale degli impianti

Nel volantino distribuito questa mattina ai lavoratori abbiamo segnato con evidenza quattro zeri perché 0 è quello che Acciaierie d’Italia ci ha mostrato del piano industriale e delle ricadute occupazionali, 0 i documenti che il Governo ha fornito alle organizzazioni sindacali sugli investimenti annunciati, 0 sono le risposte dell’azienda sulla cig con causale Covid 19 dalla quale ha ricavato un vantaggio economico, 0 le certezze e la solidità dal punto di vista del piano finanziario anche rispetto ai progetti di riconversione della produzione.

Sono passati già dieci gli anni dall’inizio della vertenza Ilva e dieci sono anche gli anni adesso ipotizzati dal governo da impiegare per decarbonizzare.

10 anni di vertenza Ilva: l’assenza di pianificazione

Il 26 luglio 2012, giorno in cui la magistratura ha sequestrato l’area a caldo dell’Ilva, avrebbe potuto rappresentare uno spartiacque tra le fasi pre e post sequestro, in grado di segnare un reale cambiamento dalla produzione di acciaio attraverso l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili per ridurre drasticamente le emissioni inquinanti.

Contrariamente, in questi 10 anni, il filo conduttore delle vertenza ex Ilva è stata la totale assenza di una pianificazione da parte delle istituzioni preposte. Infatti, hanno preferito affrontare una tematica così scottante esclusivamente attraverso l’adozione di decreti d’urgenza e/o accordi con la multinazionale in cui si è fatta prevalere sempre la produzione di acciaio e la sua strategicità a discapito del lavoro e della stessa sostenibilità ambientale.

Adesso la vertenza ex ilva è segnata da un’altra scadenza, esattamente il 30 maggio 2022, data entro cui dovranno essere concluse le tre clausole sospensive previste nell’accordo di dicembre 2020, rivisitato a marzo del 2021, tra il governo Conte e Arcelor Mittal. Ad oggi Invitalia detiene una quota del 38% del capitale di Acciaieria d’Italia, con il 50% dei diritto di voto in assemblea dei soci, e l’acquisizione definitiva degli asset dell’ex Ilva, con una quota di capitale pubblico del 60%, ed è soggetta di fatto a tre condizioni: accordo sindacale, piano ambientale e successivo rilascio della nuova AIA e dissequestro penale degli impianti.

Tuttavia, il governo dei migliori, capitanato da Draghi, non ha brillato per trasparenza e tanto meno per il coinvolgimento dei soggetti interessati che avrebbero potuto contribuire nel trovare soluzioni in merito ad un vertenza complessa con cui bisogna fare i conti tenendo in considerazione sia gli aspetti ambientali che occupazionali e produttivi.

È fondamentale affrontare la complessità della vertenza a partire dalla tre clausole sospensive che, inevitabilmente, sono intrecciate tra loro e sono vincolanti in merito ad importanti investimenti per la riconversione produttiva dell’impianto siderurgico in terra ionica.

Accordo sindacale. Ma su quali basi?

Una delle tre clausole sospensive è l’accordo sindacale. Fim, FIOM e Uilm hanno dovuto organizzare il 10 novembre scorso una manifestazione a Roma, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, per rivendicare un tavolo ministeriale che affrontasse il tema del piano industriale e occupazionale. Infatti, in questi mesi abbiamo assistito soltanto a dichiarazioni stampa da parte della politica e del Presidente di Acciaierie d’Italia che hanno annunciato investimenti e riconversioni senza un minimo di stralcio documentale e soprattutto senza uno studio di fattibilità in merito alle innovazioni tecnologiche. L’introduzione di innovazioni tecnologiche, quali il forno elettrico con una capacità produttiva di 2,5 milioni di tonnellate e l’impianto di preridotto DRI che garantirebbero un inizio di decarbonizzazione , richiederebbero uno specifico focus per conoscere, prima di un’eventuale installazione, come alimentare tali impianti.

Il Governo, tuttavia, continua a rilasciare interviste dove annuncia investimenti per miliardi di euro attraverso anche i fondi previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza, mentre come organizzazioni sindacali non abbiamo avuto modo di visionare i progetti.

Con questi presupposti come possiamo discutere di un accordo sindacale?
Come si può ragionare su un ipotetico accordo sindacale in assenza di una conoscenza scrupolosa del piano industriale e delle ricadute dal punto di vista occupazionale. Per la Fiom il punto di partenza per avviare una discussione di merito rimane l’accordo ministeriale sottoscritto a settembre del 2018 in cui venivano salvaguardati i livelli occupazionali, a partire dai lavoratori di Ilva in AS attualmente in cassa integrazione.

Dalle prime indiscrezioni si prospetta un ulteriore periodo di utilizzo dell’ammortizzatore sociale per i lavoratori di Acciaierie d’Italia e un’incertezza per il futuro di circa 1500 lavoratori di Ilva in AS.

Inoltre, in questi mesi la gestione della fabbrica, in capo ad Arcelor Mittal, ha ridotto al minimo le manutenzioni ordinarie e straordinarie tagliando anche sul personale e collocandolo in cassa integrazione, buona parte di essa è stata con la causale Covid 19, traendo un importante vantaggio economico a discapito degli stessi impianti e dei lavoratori.

Appalto ex Ilva, i lavoratori che pagano maggiormente l’incertezza

È altresì importante discutere dei lavoratori dell’appalto ex Ilva, l’anello più debole che paga maggiormente in termine di crisi di liquidità legata al mancato pagamento da parte della committente che oltre a ritardare i pagamenti continua ad applicare un dumping contrattuale che precarizza il mondo del lavoro, a partire dalla sicurezza sul lavoro su un impianto ad alto rischio di incidente rilevante. Infatti, la Fiom su questo tema ha coinvolto l’ispettorato del lavoro e l’ INAIL per far emergere tali criticità ed evitare che tali fenomeni si ripetano in altri cambi di appalto. Il problema, denunciato da più di un anno, ancora non è stato risolto ma ci auspichiamo che quanto prima venga fatta chiarezza su un tema che interessa tutti, soprattutto i lavoratori coinvolti.

Il piano ambientale deve tener conto degli studi di impatto sanitario

Il piano ambientale, il secondo delle tre clausole sospensive, andrebbe a modificare il DPCM del 29 settembre del 2017 introducendo le innovazioni tecnologiche annunciate dal governo in merito al processo di decarbonizzazione. Anche in questo caso servirebbe un maggiore coinvolgimento di tutti, dalle istituzioni locali e regionali alle organizzazioni sindacali per evitare quanto accaduto in occasione dell’ultima autorizzazione integrata ambientale in cui ci fu negata la possibilità di discutere le osservazioni presentate al piano ambientale attraverso la conferenza dei servizi. Inoltre, ribadiamo l’importanza di rendere vincolanti, ai fini del rilascio della nuova autorizzazione integrata ambientale, gli studi di impatto sanitario (vis o viias) al fine di garantire una maggior tutela della salute della popolazione anche a fronte delle innovazioni tecnologiche.

I lavoratori e la cittadinanza non possono attendere ulteriori 10 anni che andrebbero ad aggiungersi ai 10 già passati in attesa del completamento dell’autorizzazione integrale ambientale e che ha già subito modifiche e ritardi. Servono investimenti e tempi certi che affrontino il tema ambientale e della transizione ecologica con una graduale modifica dell’attuale ciclo integrale.

Il dissequestro penale degli impianti è la terza clausola

Terza ed ultima clausola sospensiva, non per importanza, è quella del dissequestro dell’area a caldo dell’impianto siderurgico in assenza del quale, così come ricordato dal Ministro dello Sviluppo economico Giorgietti, salterebbe l’ingresso di INVITALIA nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia e di conseguenza gli investimenti previsti per il processo di transizione ecologica.

Ancora una volta il governo si affida alla sorte e associa qualsiasi investimento economico al dissequestro degli impianti e, cosa più preoccupante, torneremmo alla casella di partenza con l’aggravante che tale scelta potrebbe far saltare ingenti risorse necessarie a far voltare pagina alla città di Taranto e soprattutto non consentirebbe un cambio radicale dell’attuale processo produttivo a ciclo integrale.

La vertenza ex Ilva non ha mai brillato per trasparenza e condivisione dei contenuti degli accordi presi con la multinazionale e come organizzazioni sindacali abbiamo sempre dovuto rincorrere notizie e ministri per conoscere il piano industriale e ambientale e per consentirci di discutere conoscendo nel dettaglio le prerogative dei suddetti piani.

In assenza di certezze e soprattutto di solidità dal punto di vista del piano finanziario, rispetto ai progetti di riconversione della produzione, sarebbe impossibile per il sindacato discutere di un accordo sindacale in quanto il nostro ruolo non può e non deve essere quello di mero notificatore di ridimensionamenti del personale.

Il Governo deve essere garante del futuro di un territorio e di migliaia di lavoratori e, ad oggi, nonostante l’ingresso di Invitalia nulla sembra essere cambiato e si continua a rimandare una discussione che ha bisogno del massimo della condivisione per raggiungere obiettivi che possano porre la parola fine alla vertenza ex Ilva.

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