In questi giorni, in attesa dell’incontro che si terrà al Mimit, si discute incessantemente dell’ Accordo di programma e di decarbonizzazione ma non si discute sul tema che per noi è centrale: la continuità produttiva, quest’ultima necessaria e fondamentale per avviare un confronto rispetto a qualsivoglia progetto di riconversione ecologica per evitare una fermata irreversibile del sito.
La questione dell’incidente all’Altoforno 1, la mancata ripartenza di Afo2 ,dopo le ulteriori criticità riscontrate, ereditate e causate dalla precedente gestione, l’assenza di un serio piano finanziario volto a svolgere le propedeutiche attività manutentive e non ultimo le problematiche riscontrate all’Altoforno 4, ci pongono in una situazione di chiedere, appunto, al governo di discutere seriamente su come evitare il collasso imminente. A tal proposito riteniamo utile e necessario che il governo si assuma un impegno chiaro prevedendo un intervento dello Stato per garantire, in una fase complessa in cui si trova lo stabilimento di Taranto, un piano finanziario legato al fabbisogno di risorse economiche necessarie a mettere in sicurezza gli impianti consentendo la ripresa di un piano di marcia con interventi strutturali, in particolar modo sugli altiforni e sulle acciaierie. Questa non può essere una discussione slegata dal piano di marcia che i commissari straordinari ci hanno presentato nel corso dell’ultimo incontro. Parallelamente si possono anche affrontare tutte le tematiche legate al processo di decarbonizzazione, all’Accordo di programma dal quale il sindacato, di fatto, è stato escluso e alla questione della cassa integrazione rispetto ai numeri dei lavoratori coinvolti (4.050 dei quali 3.500 nello stabilimento ex Ilva di Taranto).
È evidente che le ultime risorse messe a disposizione nell’ultimo decreto in fase di conversione, della cifra di 200 milioni di euro, non sono sufficienti a garantire la ripartenza degli impianti e la continuità produttiva né tantomeno permetteranno di raggiungere le 6 milioni di tonnellate nel 2026 come tracciato nell’accordo interistituzionale. Non si può discutere di come immaginare il migliore contesto plausibile se tutto si basa sulla speranza che anche l’unico altoforno in marcia non si fermi irrimediabilmente.
La ripartenza degli impianti è indispensabile per il processo di decarbonizzazione, delocalizzare altrove la produzione di acciaio primario non risolve sicuramente i problemi, anzi si rischia una inutile e dannosa contrapposizione tra i territori.
Una trasformazione così complessa non si può basare sulle buone intenzioni ma attraverso un piano finanziario a sostegno di un progetto ambientale ed industriale.
Dopo 13 anni nei quali i lavoratori e i cittadini di Taranto hanno pagato il prezzo più alto, sia in termini di salute, ambiente e lavoro, proprio nel momento in cui si avrebbe la possibilità di voltare pagina restituendo di fatto alla comunità uno stabilimento totalmente diverso attraverso il cambio dell’attuale ciclo integrale.
Non accetteremo di certo l’ennesima crisi ambientale, sociale ed occupazionale con i tentativi beceri tra lo scarico di responsabilità tra istituzioni, che comunque potrebbero avere ripercussioni e conseguenze su migliaia di famiglie. La decarbonizzazione e il processo di transizione ecologica deve necessariamente partire da Taranto e per farlo bisogna costruire le basi, a partire dall’intervento dello Stato per consentire la continuità produttiva.
Segreterie e Rsu FIM-FIOM-UILM