Arcelor Mittal e parte degli investimenti ambientali con i soldi sequestrati ai Riva
Dal 26 luglio 2012, data in cui la magistratura ha sequestrato l’area a caldo dello stabilimento siderurgico, sembra non essere cambiato nulla se non lo scoramento tra i lavoratori, stanchi di aspettare una risoluzione definitiva sul piano ambientale e occupazionale.
Arcelor Mittal ha mostrato sin da subito il suo vero volto: quello di una multinazionale venuta a Taranto per trarne semplicemente profitto.
È evidente come il quadro normativo costruito ad hoc per il gruppo franco indiano, a partire dal bando di vendita e dal contratto di aggiudicazione del 5 giugno, abbia di fatto favorito la multinazionale a discapito dei cittadini e dei lavoratori, costretti a subire scelte verticistiche che sistematicamente escludono anche le istituzioni locali e gli organi tecnico scientifici come Arpa Puglia.
Nonostante ciò, ancora ad oggi, sono molti i sostenitori della multinazionale, a partire da Confindustria, che inesorabilmente continua a raccontarci la solita solfa di come Arcelor Mittal abbia previsto degli investimenti di miliardi di euro per l’applicazione del piano ambientale e del piano industriale. Insomma, dovremmo essere tutti soddisfatti se non fosse per il fatto che buona parte degli investimenti ambientali non sono direttamente ascrivibili all’affittuario, ma bensì segue un iter che prevede di fatto il rimborso da parte delle società concedenti.
Tra le tante opere previste dal DPCM del 29 settembre 2017 vi è anche la copertura dei parchi minerali completamente realizzata con fondi in capo all’amministrazione straordinaria. Infatti, all’art. 20 del contratto di aggiudicazione viene esplicitato che in relazione alle attività esecutive del piano ambientale di competenza dell’affittuario, le società concedenti metteranno a disposizione di Arcelor Mittal, su base trimestrale anticipata, le risorse finanziarie relative ai costi che dovrà sostenere nel trimestre successivo.
Personalmente ho sempre sostenuto che il contratto di aggiudicazione del 5 giugno, voluto fortemente dall’ex ministro Calenda, sia un libro dei sogni per qualsiasi imprenditore che decide di investire nel nostro Paese. Infatti, gli è stata concessa l’immunità penale, il piano ambientale quasi interamente a carico della società concedente e la possibilità di abbassare i salari e di poter licenziare, quest’ultima parte modificata grazie all’accordo sindacale del 6 settembre attraverso la salvaguardia occupazionale.
Ancora una volta la città di Taranto è costretta ad ingoiare un boccone amaro. Tutti quanti avremmo sperato in una soluzione differente e invece oggi siamo costretti a scontrarci con una multinazionale per la mancanza di strategia, di programmazione e di politica industriale da parte del governo, tanto da farci vivere in un territorio in perenne conflitto e senza una via d’uscita definitiva al problema ambientale e occupazionale.
Lasciamo, pertanto, che la multinazionale decida da sola per il futuro di Taranto o proviamo a cambiare lo stato di cose presenti?
Il Riesame dell’AIA, richiesto dal Comune di Taranto, e la Valutazione di impatto sanitario preventiva possono essere una risposta necessaria a sbloccare questo continuo conflitto tra due diritti costituzionali con cui la città continua a dividersi. Due diritti costituzionali che, indubbiamente, non devono e non possono essere contrapposti tra loro.
Perché un lavoratore e un cittadino devono decidere tra due diritti costituzionali?
Il lavoratore e il cittadino non devono essere messi nella condizione di decidere a quale tra i due diritti costituzionali sia meglio rinunciare.
In una vertenza così lunga e complessa al sindacato, in particolar modo alla Fiom e alla Cgil, spetta il compito più difficile: quello di riconnettere sentimentalmente i lavoratori con la città e viceversa e lo si può fare solo se insieme si riesce a percorrere una strada che provi a modificare l’attuale quadro normativo costruito su misura alla multinazionale.
Il DPCM del 29 settembre va ridiscusso con tutte le parti sociali e necessita dell’introduzione della valutazione di impatto sanitario preventivo che indubbiamente andrà a modificare l’attuale ciclo integrale.
È possibile farlo! Lo dobbiamo pretendere senza continuare a dividerci, anche perché buona parte delle risorse per il piano di risanamento ambientale provengono dal miliardo sequestrato alla famiglia Riva.
Non lasciamo che ancora una volta qualcun altro faccia delle scelte sulla nostra pelle, sul nostro futuro!
Francesco Brigati – Segreteria Provinciale Taranto – RSU
Taranto, 28 luglio 2019