Bardinella e Romano: “Chiediamo il ripristino delle condizioni di normalità. Circa 500 lavoratori ancora a casa”
Gli effetti del post Covid segnano ancora in maniera inesorabile il tessuto economico e occupazionale a livello nazionale e locale. Le chiusure a tappetto e le misure di distanziamento sociale dettate dalle norme sul contenimento del contagio oggi però sono anche l’alibi perfetto per molte imprese o gruppi imprenditoriali che hanno deciso di scaricare l’emergenza, e ciò che ha comportato, sull’anello più debole della filiera, ovvero i lavoratori delle imprese di appalto.
Secondo la FILLEA e la FIOM CGIL, è il caso dell’appalto ENI di Taranto in cui ormai da alcuni mesi circa 500 lavoratori vivono la condizione sospesa della cassa integrazione.
Sono a casa il 50% dei lavoratori metalmeccanici e il 100% dei lavoratori edili – spiegano in una nota i segretari di categoria, Francesco Bardinella (FILLEA) e Giuseppe Romano (FIOM) – considerato che malgrado gli impianti siano perfettamente funzionanti sono fuori proprio i lavoratori che garantiscono manutenzioni e standard di sicurezza elevati.
Per Bardinella e Romano si tratta di una condizione che va assolutamente rivista anche alla luce delle dichiarazioni del top manager del Gruppo Claudio Descalzi che proprio in occasione dell’emergenza sanitaria aveva parlato di “priorità” rispetto alle persone che lavorano con l’Eni.
I 500 lavoratori oggi in cassa integrazione prolungata – dicono i sindacalisti – sono persone che garantiscono da anni la sicurezza di quegli impianti e non si comprende pertanto perché ad attività ripartita non si debbano fornire risposte di dignità e continuità occupazionale anche a loro.
Abbiamo chiesto spiegazioni all’ENI di Taranto – scrivono – e chiediamo garanzie affinché si possa tornare al più presto alla normalità delle commesse, ed evitare così che dopo l’emergenza sanitaria si debba parlare anche di una emergenza lavoro anche su questo fronte. La nostra preoccupazione – concludono – è che si possa prefigurare nell’immediato la dismissione e sostituzione del comparto raffinazione col comparto deposito, evidenziato dal fatto che risulterebbe più sostenibile l’energia che la raffinazione. Una scelta che ricadrebbe solo sulla pelle dei lavoratori dell’appalto.