Il governo, nonostante la vertenza ex Ilva continui a presentare troppe incognite, si rende, ancora una volta, responsabile di cambiare gli accordi parasociali determinando un arretramento rispetto alla prospettiva occupazionale, ambientale ed industriale senza un minimo coinvolgimento delle parte sociali. Infatti, l’11 settembre del 2023 ADI, attraverso il suo amministratore delegato Morselli, ha sottoscritto con il Ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto un Memorandum of Understanding con cui si sono presi degli impegni ben precisi con il Governo che potrebbero mettere seriamente a rischio il ruolo del pubblico per un sito d’interesse strategico per il Paese. Tale memorandum ha, infatti, escluso anche il socio Invitalia.
Attraverso la sottoscrizione del memorandum il governo si è reso complice di aver trattato con la multinazionale che, ad oggi, non ha rispettato nessuno degli impegni assunti, a partire dall’accordo del 6 settembre del 2018, e che ha ridotto lo stabilimento siderurgico di Taranto in una condizione comatosa, tanto da far raggiungere il primato per il minimo storico della produzione mai raggiunto da quanto lo stabilimento è nato.
Siamo di fronte ad un governo ultraliberale che regala soldi pubblici ad una multinazionale franco indiana e decide di cambiare gli accordi parasociali continuando a trattare con chi ha deciso da tempo di depredare la fabbrica, a partire dal deconsolidamento che ha prodotto una situazione di grave crisi di liquidità.
Il solito refrain che si ripete ogni qual volta si determinano situazioni di criticità originate dalla gestione di Acciaierie d’Italia che puntualmente ricatta i governi condizionandoli a scelte che nulla hanno a che vedere con le politiche industriali, ma bensì a scelte “tampone” e senza nessuna prospettiva.
La vertenza ex Ilva è stata di fatto gestita sulla base di decreti d’urgenza e non ha mai avuto un chiaro indirizzo di politiche industriali, necessarie quest’ultime a fornire un orientamento sul piano industriale, ambientale e di rilancio dello stabilimento siderurgico attraverso un intervento pubblico che fosse garante della tanto attesa e mai arrivata transizione ecologica e sociale.
Una transizione ecologica che i lavoratori e cittadini attendono ormai da troppo tempo e che vedono sempre più lontana anche per scelte generate dal governo Meloni che hanno di fatto definanziato le risorse previste dal PNRR sul processo di de carbonizzazione.
Il 20 di ottobre ’23 Fim, Fiom e Uilm hanno scioperato a Roma. In tale occasione c’è stata una straordinaria partecipazione di oltre 1.000 lavoratrici e lavoratori provenienti da tutti gli stabilimenti di Acciaierie D’Italia e ha consentito alle organizzazioni sindacali di essere ricevuti a Palazzo Chigi per rappresentare le difficoltà che ci sono nei siti gestiti da Arcelor MIttal.
In quell’occasione abbiamo chiaramente detto allo Stato che deve decidere se stare con i lavoratori o lasciare andare avanti l’eutanasia del più grande gruppo siderurgico italiano gestito da una multinazionale che non ha nessuna intenzione di investire sul futuro di Taranto e della siderurgia.
Inoltre la Fiom, unitamente a Fim e Uilm, ha deciso di mantenere una mobilitazione permanente nei siti ex Ilva finché non si raggiungeranno degli obiettivi fondamentali utili a scongiurare la liquidazione o la cessazione, di intervenire con risorse pubbliche e private per garantire le manutenzioni ordinarie e straordinarie per mettere in sicurezza persone e ambiente.
Inoltre, all’incontro del 20 ottobre u.s., abbiamo chiesto al governo di porre la massima attenzione al rispetto della sicurezza dentro i luoghi di lavoro che irrimediabilmente, in assenza di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, potrebbe seriamente mettere a rischio l’incolumità dei lavoratori, cosi come determinare un aumento delle emissioni diffuse e fuggitive come nel caso del benzene.
La transizione ecologica diventa fondamentale se si vuole seriamente lasciarsi alle spalle il problema ambientale, ma senza un cambio dell’attuale managment e degli attuali assetti societari sarebbe a rischio anche il dissequestro degli impianti.
Infatti, ritengo insufficiente, per il dissequestro dell’area a caldo di Taranto, la piena applicazione delle prescrizioni previste dell’Autorizzazione Integrata Ambientale se prima non sarà individuato un nuovo piano industriale e ambientale e soprattutto se continueranno a non garantire una seria programmazione delle manutenzioni, necessarie quest’ultime ad assicurare migliori target ambientali.
Taranto rischia di diventare una bomba sociale se non dovessero arrivare risposte che esaminino il presente, con una produzione ad oggi ai minimi storici, ed un futuro sempre più in bilico con una multinazionale che di fatto non ha nessuna intenzione di investire su Taranto, tanto da aver operato nella deconsolidazione degli asset italiani dell’ex Ilva.
Oggi i lavoratori di ADI, di Ilva in AS e dell’appalto vivono sulla propria pelle il dramma della cassa integrazione, del fermo degli impianti, in particolar modo dell’area a freddo e della mancanza di prospettiva che aumenta il clima di sfiducia da parte dei lavoratori.
Fim, Fiom e Uilm, cosi come condiviso dall’ultimo coordinamento nazionale a Roma sotto la sede del MIMIT, continueranno a tenere alta l’attenzione sulla vertenza e dopo lo sciopero del 20 ottobre ci saranno altri appuntamenti a partire dalla richiesta di audizione alle commissioni parlamentari “Attività produttive” di Camera e Senato a cui chiederemo la costituzione di una commissione d’inchiesta che verifichi eventuali responsabilità sulla “mala gestio” dell’azienda pubblica-privata. Inoltre, faremo delle analisi approfondite, con esperti, per la verifica dei bilanci e l’uso delle finanze.
Il futuro della decarbonizzazione con forni elettrici e DRI è possibile solo se finiscono le speculazioni e lo sperpero di risorse pubbliche e ognuno si assume le proprie responsabilità. Al Governo chiediamo che garantisca la tutela dei lavoratori. Per questo è inaccettabile che il presidente e l’amministratore delegato parlino di aziende che non esistono nella realtà. È necessario inoltre definire gli assetti della proprietà e della gestione degli impianti e il Governo deve fare la sua parte salvaguardando gli interessi del Paese, dei lavoratori e cittadini e non quelli di Arcelor Mittal.
Francesco Brigati
Segretario generale Fiom Cgil
pubblicato su Gazzetta del Mezzogiorno, edizione di Taranto